I PAZIENTI HANNO TUTTI UN NOME....E UNA STORIA

#BUONGIORNOIOSONO

16.06.2018 

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Medicina narrativa, che espressione strana....

A me vengono subito in mente dei racconti, sì ma racconti di cosa?

E racconti per cosa? Chi racconta cosa a chi?

Eppure si tratta di una cosa così bella, che nella cura di ognuno di noi può fare davvero la differenza, che vale la pena provare a saperne un po' di più.

La medicina narrativa nasce negli Stati Uniti quando ci si accorge che nell'ambito della medicina sempre più specializzata e all'avanguardia per tecniche d'indagine è diminuita la capacità di ascoltare i pazienti.

Si cerca quindi di ridare importanza e valore ad una pratica che, insieme ai metodi diagnostici specialistici, è fondamentale per la comprensione, il trattamento e la cura di ogni persona e di ogni malattia.

La narrazione diventa quindi uno strumento attraverso il quale medico e paziente costruiscono insieme un percorso di cura unico, individualizzato e condiviso.

Ci potremmo chiedere a quale disciplina competa e appartenga la medicina narrativa e forse qualcuno potrebbe pensare a professionalità quali lo psicologo o lo psichiatra.

Ebbene no, la medicina narrativa è parte di ogni percorso medico-sanitario in cui ci si prende cura dell'altro. Si tratta quindi di uno strumento trasversale che accomuna ogni professionista della cura.

Utilizzo volutamente il termine "cura" e non la parola "medicina" proprio perché la cura è qualcosa di più ampio che comprende anche i trattamenti medici, ma non solo. La cura, quindi, non è praticata esclusivamente dai medici, ma da molti più professionisti di settori diversi. Curare e prendersi cura sono due attività diverse.

Ma in che modo la narrazione può davvero essere utile e importante fino al punto di fare la differenza? E ancora narrazione di cosa?

La narrazione del percorso di vita, della malattia e delle sofferenze dà la possibilità alla persona che sta male di mettere ordine laddove ordine non c'è più e di ricostruire il proprio mondo ridando senso alla propria vita e alla propria storia.

Allo stesso tempo per l'operatore sanitario, il medico, l'infermiere...., poter ascoltare questo racconto è un'occasione preziosa per conoscere il proprio paziente e i suoi vissuti e per capire di cosa abbia veramente bisogno, condizione quest'ultima necessaria per creare un percorso di cura realmente efficace.

Raccontare ed ascoltare hanno bisogno però di un elemento fondamentale per poter esistere: il tempo.

La medicina narrativa è quindi innanzitutto e primariamente un atteggiamento mentale di ogni operatore sanitario ed è uno strumento fondamentale per comprendere la malattia e il vissuto umano della persona che porta dentro e su di sé la malattia.

Guarire e narrare diventano quindi un'unica strada, sono come due corsi d'acqua che si uniscono in un unico impetuoso torrente che si spinge verso mete lontane.

Del resto se ci pensiamo bene che cosa ci succede quando leggiamo un romanzo o quando guardiamo un film? Veniamo trasportati in un altro mondo, in un'altra storia, in altre vite, finiamo per conoscere i protagonisti quasi facessero parte della nostra vita. Allo stesso modo narrare, raccontare la nostra vita permette a noi di osservarla da un altro punto di vista e a chi l'ascolta di entrare nel nostro mondo e di conoscere noi e la nostra sofferenza, le nostre paure e le nostre speranze.

Raccontare di sé, a voce o per scritto, fa sentire vivi, fa sentire che ci siamo e che esistiamo.

"Dopo alcune domande preliminari sull'età, le malattie precedenti, la pressione, le medicine che prendeva, il medico le chiese di parlare della sua vita.

Quando il dottore le chiese di parlare della sua vita, cominciò ad animarsi. Si mise a parlare più velocemente e più chiaramente. Fino a quel momento era stato più che altro un impasto di parole che le usciva di bocca."*

Molte cose prendono concretezza fuori da noi quando vengono narrate e ci liberano. Le emozioni fluiscono con il racconto sciogliendo blocchi e dando il via al cambiamento essenziale perché ci sia resilienza, ovvero la capacità di affrontare e superare un evento traumatico o un momento di difficoltà. Raccontarsi ha un valore terapeutico, consente di risanare le ferite e di ritrovare un equilibrio momentaneamente perso. Dare un senso alla malattia attraverso la creazione di una storia è il modo più efficace per attenuarla e renderla sopportabile durante il percorso di cura.

Nel racconto quindi che il paziente fa al medico ci sono due elementi, la malattia e i sintomi che lo affliggono e le emozioni che vive. I sintomi specifici di singole malattie hanno anche un significato umano.

Questo è il racconto che ogni medico deve voler ascoltare perché strumento privilegiato per una buona e corretta diagnosi. Lo scopo è costruire con il paziente un percorso di cura unico e individualizzato. La persona diventa così protagonista attiva della cura che riceve e sappiamo quanto questo sia un fattore discriminante per l'adesione e la collaborazione al trattamento da parte del paziente, quell'aspetto tecnicamente definito compliance, e per la sua maggiore efficacia.

E così curare e narrare sono diventati due aspetti inscindibili del prendersi cura che portano a comprendere la malattia, livello più alto del solo spiegarla.

La capacità narrativa si può imparare e la si può far diventare una sana abitudine. Per i futuri medici l' "educazione" all'aspetto narrativo fa parte del percorso di formazione attraverso sessioni cinematografiche e archivi di film a tema. E tutti noi dovremmo allenarci a raccontarci. L'uso del diario svolge spesso questa funzione.

È attraverso il racconto che riferiamo, oltre ai dolori fisici che ci tormentano, anche quelli morali che accompagnano la malattia e che portano disperazione, mancanza di speranza e fiducia.

L'atteggiamento organicistico e riduzionistico della medicina del passato, talvolta sicuramente ancora oggi presente in alcuni medici, si concentrava su organi e sintomi e probabilmente serviva ai medici di allora a mantenersi ad una certa distanza dal paziente e dai suoi vissuti, ma inevitabilmente ne diminuiva anche la conoscenza che potevano trarne.

"Perché fanno al paziente mille domande sul modo in cui si nutre, cammina, respira e non gli chiedono mai se sogna e che cosa sogna? ...Perché quello che succede dentro di noi in quei momenti è tenuto in così poco conto?"*

Oggi è conoscenza acquisita e indiscussa che corpo e mente sono due aspetti di quell'Unico che costituisce la nostra vera essenza. La narrazione è qualcosa che unisce questi due aspetti, che li collega e li connette consentendo l'equilibrio tra due saperi che solo insieme possono dare un quadro completo o almeno più ampio di chi siamo. E prendersi cura di una persona è un compito così complesso che non può prescindere dal cercare di poter vedere questo quadro.

Il paziente, prima di avere una malattia, ha una storia, che spesso non ha raccontato a nessuno, forse nemmeno a se stesso, e che nessuno conosce. La cura comincia veramente solo dopo aver conosciuto questa storia personale e il medico deve fare quelle domande che riguardano tutta la persona, non solo i suoi sintomi.

Del resto che cos'è la malattia?

La rottura di qualcosa che non funziona più come prima? O un viaggio in territori nuovi e sconosciuti in cui malato e medico si ritrovano compagni di viaggio? E in questo andare la narrazione della storia del paziente diventa ricerca per il medico per orientarsi e per conoscere. E ogni viaggio è un'occasione di crescita, da ogni viaggio si torna diversi, un po' cambiati.

Ascoltare ogni paziente che racconta la sua storia non è quindi un fatto di bontà d'animo, gentilezza o umanità, è un elemento o meglio uno strumento essenziale di una buona sanità e della qualità professionale. L'ascolto della narrazione rende più facile l'interpretazione e la comprensione da parte del curante.

"Le diagnosi cliniche sono importanti perché consentono al medico di orientarsi in qualche modo, ma non servono ad aiutare il paziente. Il fatto decisivo è il problema della sua storia, perché essa sola mostra lo sfondo umano e l'umana sofferenza: e solo allora la terapia medica può mettersi all'opera" (Carl G. Jung)

Come ogni strumento altamente specialistico che si rispetti, anche questo ha un elevato costo, il tempo dell'ascolto.

"Se un malato vi racconta la sua storia e non avete voglia di ricominciare da capo per chiedere meglio, per ascoltare ancora, se non dimenticherete l'esatto trascorrere del tempo, se non farete tra di è segno che non stavate facendo il medico" (Alberto Malliani, 2014)

"Il tempo dedicato all'informazione, alla comunicazione e alla relazione è tempo di cura" (Carta di Firenze, 2005)

E che cos'è la salute?


Tornare allo stato precedente la malattia? Riparazione? Assenza di sintomi? Oppure è manutenzione? Continuare a vivere la propria esistenza, talvolta con la malattia e nonostante essa?

"La medicina risanatrice può essere un veleno che non tutti sopportano, o una operazione che - se controindicata - può risultare fatale" (Carl G. Jung)

O forse la salute è una crescita? Un percorso che va dal ristabilimento dell'equilibrio psicofisico precedente alla malattia a una nuova condizione?

Se la malattia è un viaggio e se da ogni viaggio si torna cambiati, situazioni di sofferenza sono occasioni di maturazione, di trasformazione che molte persone raccontano di aver attraversato per poi scoprirsi migliori, più forti, più "pieni", consapevoli di possedere alte potenzialità.

"Ero invalida e questa scoperta mi ha fatto ridere. [...] Ho ritrovato la gioia di ridere. Mi prendevo burla di me stessa ed era un'esperienza deliziosa."*

"Soltanto quando un paziente capisce la malattia, le sue cause, la sua cura e il suo senso, ci si può aspettare che faccia il necessario per guarire" (Lisa Sanders, 2009).

"Ora mi sono messa in testa di raccontare la mia malattia.

Un giorno sentii che ero abbastanza forte per farlo, che la mia fiducia nel dottore era abbastanza grande."*

"Le persone, attraverso le loro storie, diventano protagoniste del processo di cura" (Documento definitivo di consenso, 2015).

La narrazione nasce da un bisogno di contatto in un momento altamente difficile e stressante come può essere vivere una malattia e questo è un modo sano di reagire. La narrazione diventa così quello che in termine tecnico si definisce strategia di coping.

"Per la prima volta da tanto tempo qualcuno mi parlava come fossi una persona normale. E, per la prima volta da tanto tempo, mi comportavo come una persona capace di assumersi le proprie responsabilità."*

"Il dottore mi aveva parlato come a una persona normale, e ora consideravo me stessa in modo diverso, mi vedevo sotto un'altra luce."*

La narrazione è il camice ideale della medicina, perché qui sono importanti i volti, gli sguardi, il guardarsi negli occhi. Quante volte l'operatore finisce per non presentarsi nemmeno al paziente che ha di fronte?

"Il mio medico! Se non conosco nemmeno il suo nome!"*

Ecco che allora il "Buongiorno, io sono Ilaria Di Nasso" detto dal professionista sanitario che fa entrare il paziente nella stanza, la stretta di mano guardando negli occhi l'altro e sorridendogli può essere il primo segnale per dire all'altro che lui è una persona e non un caso clinico e che anche noi siamo solo persone; è un segno di buona educazione all'interno di una relazione corretta che sta appena nascendo all'interno di un viaggio in cui professionista e paziente si mettono all'opera per costruire insieme un percorso di cura e di salute.



* Marie Cardinal "Le parole per dirlo", 1996, edizione Bompiani


D.ssa Ilaria Di Nasso

Centro di Psicoterapia Relazionale 

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